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Curiosità

In questa sezione è possibile
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informazioni sul mondo di
Galateo & Friends.

GALATEO DEFINIZIONE

Da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

In italiano il termine galateo definisce l’insieme di norme comportamentali con cui si identifica la buona educazione: è un codice che stabilisce le aspettative del comportamento sociale, la norma convenzionale. Sinonimi sono etichetta e bon ton. Il nome galateo deriva da quello del primo trattato sull’argomento, il Galateo overo de’ costumi di Mons. Giovanni della Casa pubblicato nel 1558. In molti paesi il termine impiegato è connesso con l’italiano etichetta e il francese étiquette, il quale a sua volta è un diminutivo di etica (quel ramo della filosofia che si occupa di ciò che è buono, giusto o moralmente corretto): si tratta infatti di un’etica “minore” applicata non ai grandi problemi della vita morale ma ai semplici problemi della vita di ogni giorno.

LA DECLINAZIONE DI GALATEO

GALATEO

GALATEO “IL PENSIERO”

Il trattato del Cinquecento (1550 – 1555) Galateo overo de’ costumi di Monsignor Giovanni della Casa, sulla “buona creanza” e sul corretto comportamento, ha influenzato i costumi di gran parte della società occidentale degli ultimi secoli. Il termine “galateo” deriva da Galeazzo (Galatheus) Florimonte, il vescovo di Sessa che ha suggerito a Monsignor Giovanni della Casa la stesura del trattato. Il libro, che ebbe un largo successo sia in Italia che all’estero, attraverso la voce narrante di un vecchio “idiota” (come è scritto nel titolo completo dell’opera :Trattato di Messer Giovanni Della Casa, nel quale sotto la persona d’un vecchio idiota ammaestrante un suo giovinetto, si ragiona dei modi che si debbono o tenere o schifare nella comune conversazione, cognominato Galateo ovvero dei costumi), vale a dire un illetterato che vuole consigliare un giovane, espone tutti quei comportamenti da evitare quando ci si trova in compagnia o in pubblico, suggerendo allo stesso tempo la giusta tenuta di condotta. Seguendo il precetto del rispetto della personalità altrui, il vecchio illetterato mette in guardia il suo allievo da comportamenti che possano sembrare sprezzanti (come la trasandatezza nel vestire) verso gli altri; lo invita nella conversazione a non affrontare argomenti sia troppo frivoli sia troppo complessi perché potrebbero tediare l’uditorio; suggerisce di evitare le moine e i consigli non richiesti; insegna come comportarsi a tavola, come vestirsi, insomma non tralascia nessun aspetto del vivere sociale. Vengono esposte norme sul modo di vestirsi, enumerati tutti i gesti e le cose spiacevoli da evitarsi; è riprovato lo scherno, la beffa, la parola che morde e offende; si suggeriscono i modi del parlare, si consigliano i vocaboli da usare e quelli da evitare. Insomma, biasimando ogni eccesso, l’autore incarna il culto della proporzione proprio del Rinascimento.

MONSIGNOR GIOVANNI DELLA CASA

D’origine Toscana e probabilmente fiorentina, studiò a Bologna e a Firenze le materie letterarie per poi immergersi nella lettura dei classici latini. Nel 1532, intraprese a Roma la carriera ecclesiastica, diventando prima arcivescovo a Benevento e poi nunzio apostolico a Venezia, dove redasse l’introduzione dei tribunali dell’Inquisizione e approntò alcuni famosi processi.
Verso il 1540, ritiratosi nell’abbazia di Nervosa, sulle pendici della marca trevigiana, scrisse il “Galateo”. In questo libro assunse il ruolo di un pedagogo anzianotto illetterato e piuttosto ingenuo che, nel dissertare con un giovane allievo, dettava con aria sprovveduta, norme di etica, estetica e pedagogia. Il termine “galateo” deriva da Galeazzo (Galatheus) Florimonte, il vescovo di Nola che suggerì a Giovanni della Casa di scrivere il trattato. Grazie al successo straordinario della pubblicazione, “galateo” diverrà la parola usata per indicare un complesso di regole di buona creanza.

Riportiamo dal capitolo V°:
“…Dee adunque l’uomo costumato guardarsi di non ugnersi le dita sì che la tovagliuola ne rimanga imbrattata…I nobili servidori, i quali si essercitano nel servigio della tavola, non si deono per alcuna condizione grattare il capo né altrove dinanzi al loro signore quando e’ mangia… Quando si favella con alcuno, non se gli dee l’uomo avicinare sì che se gli aliti nel viso…”

Riportiamo dal capitolo XIX°:
“Non istà bene grattarsi, sedendo a tavola…
Non istà medesimamente bene a fregarsi i denti con la tovagliuola, e meno col dito…
E chi porta legato al collo lo stuzzicadenti erra senza fallo…”